lunedì 22 febbraio 2010

Blu Restaurant, Magnani "chef" da tenere d'occhio


di Marco Valeriani

E’ il colore blu, nelle bizzarre e molteplici sfumature, a tratteggiare il confine virtuale del Blu Restaurant di Igea Marina. L’architettura lineare, funzionale, essenziale costruisce infatti nel cuore del BluSuite Hotel lo spazio dedicato alla ristorazione. Uno spazio che Katia Foschi, proprietaria e general manager della struttura, ha “sposato” come una seconda casa. “Un ristorante situato all’interno dell’hotel ma non concepito come ristorante dell’hotel e quindi aperto all’esterno, alla clientela del mezzogiorno e serale. Come formula d’accoglienza noi proponiamo B&B + cena al Blu. Una scelta azzardata?”. La cura dei dettagli, la scelta degli oggetti d’arredamento è opera sua: tutto si nota, nulla risulta invadente, sovrastante. Mario Magnani, 40 anni, oggi chef del Blu, è approdato a Igea dopo altre, premianti esperienze. In cucina si muove con grande disinvoltura, senza mai venir meno alla regola base: “Non smettere mai di crescere professionalmente”. Il buon impatto tra ambiente e piatti proposti – si privilegia il pesce dell’Adriatico, si propongono varietà di altri lidi e Paesi in abbinamenti davvero gustosi – sta tutto nell’essenza personale di Katia e Mario. “Il richiamo alla territorialità, la scelta delle materie prime, nessun artificio gastronomico sono i presupposti del nostro lavoro – spiegano entrambi - . Lo stare bene a tavola è il naturale completamento dell’intera filosofia Blu: quella del benessere”. Carta light dalle 12.30 alle 15 con menù più veloci nella preparazione (mai banali, ndr); declinazioni culinarie votate alla stagionalità dalle 19.30 alle 22, rappresentano i cardini di un ristorante non per folle oceaniche (60 coperti d’inverno, 90 coperti d’estate grazie all’utilizzo dell’area-piscina). Lontano dalle “rotte” modaiole, ha tuttavia una forte capacità attrattiva: insomma, stai bene e ritorni volentieri… Traduciamo ora la territorialità – olio, formaggi, salumi, vini, sale (rigorosamente di Cervia ed utilizzate pure nella Spa), verdure, pesce – nell’invito all’assaggio. Per iniziare consigliamo un trionfo di crostacei in bellavista servito con emulsione di olio e limone e verdure in pinzimonio; poi paccheri di Gragnano con aragosta di Lampedusa; un branzino in crosta di sale marino cervese; un rombo chiodato avvolto da croccanti patate novelle; lo specchio di frutta esotica e per finire un soufflé al cioccolato con crema di zabaione. Il tutto accompagnato da una bottiglia di profumatissimo (rosso) Scabi dell’Azienda San Valentino (Rimini). “Mi piace la cottura semplice e che valorizzi il prodotto. Non cedo all’esterofilia delle aggiunte. Pretendo però – aggiunge Magnani – e ciò in pieno accordo con la direzione generale, la massima attenzione quando si è all’opera tra i fornelli”. Scuola alberghiera ed apprendistato tra pentole e tegami per attingere le ricette della mamma cuoca, hanno sedimentato in Magnani la consapevolezza della passione. Il buon mangiare richiede altresì un’ottima preparazione del tavolo attorno al quale sedersi in compagnia degli amici. Tovagliato, posateria, cristalleria aggiungono atmosfera. E le porzioni? Da buoni romagnoli non possiamo esimerci dal chiederlo… “Il rifiuto dei catering, l’allontanamento da certi stereotipi internazionali danno già una risposta a questa domanda. Eppure una regola occorreva. Al bando le esagerazioni – spiega ancora Katia – si è optato per una linea di equidistanza in grado d’appagare il palato e l’occhio. Mi piace l’idea del cibo da aspettare, guardare, assaporare”. Progetti per il futuro? “Ampliare la gamma dei prodotti territoriali, evitare gli errori visti all’estero”. Mentre il sogno nel cassetto dello chef Magnani qual è? “Beh, è fin troppo chiaro: vorrei comprare questo hotel!”. I riferimenti utili: BluSuite Hotel - Viale Pinzon, 290 – Igea Marina, 47814 Bellaria di Rimini – 0541.332454 – 0541.330765 - info@blusuitehotel.it

Articolo pubblicato sul numero di febbraio 2010 della rivista "Gustando" (editrice La Mandragora - Imola).

domenica 14 febbraio 2010

L'Angolo Divino a Cesenatico, Mazzancolle al sale di Cervia ottime


di Marco Valeriani

L'Angolo Divino a Cesenatico è un'osteria dall'arredamento semplice eppure originale. Sul porto canale disegnato da Leonardo da Vinci invita la clientela all'assaggio anche grazie ad una serie di "annunci" indovinati. L'abbiamo provato domenica 7 febbraio. Dal menù - la carta dei vini non è stata proposta poiché il ritorno era previsto in auto - la scelta è caduta su Mazzancolle al sale di Cervia, Risotto di pesce, Tagliolini bianchi al Branzino e Frittura mista. Nonostante la giornata festiva e l'ora tipicamente declinata al pranzo, il servizio è stato veloce. Mai invadente. Nulla di speciale il tovagliato e la posateria, così come la cristalleria. Il Risotto di pesce è arrivato in tavola in porzione abbondante. Rosso di pomodoro al punto giusto, forse leggermente salato rispetto alla media. Strepitose le Mazzancolle al sale di Cervia. Buono il Fritto misto, anche se la cucina avrebbe potuto "asciugarlo" meglio. Dignitoso il sorbetto, costosi i caffè (1,50 a testa!). Proprietario-gestore con piacevole autorità tra i tavoli, disponibile e cortese.
Lo consigliamo. Il nostro voto (60/60 è il massimo) è di 50/60.

domenica 7 febbraio 2010

Il buon salame tra Casa Zanni e Riccione


di Marco Valeriani

Fatevi “dare del salame”. Mai in senso figurato - e nemmeno con tono canzonatorio – bensì come atto vero e proprio in onore dell’insaccato che riappacifica al mondo. In onore del buon salame – quello preparato da sapienti artigiani e scrupolosi amatori – a Casa Zanni, a Villa Verucchio (nella bassa Valle del Marecchia) trova rifugio la Congrega nata 10 anni fa allo spuntar del maggio. Loris Fantini ne è il Primicerio, oltre a raccogliere attorno al sodalizio una robusta conoscenza dell’enogastronomia non soltanto emiliano romagnola. L’idea della Congrega prese spunto come “antivirale” al progressivo impoverimento di una terra. Quindi dalla necessità di mettere mano “al mazzo di carte” delle specificità così da ricollocare ogni tessera e ogni valore al proprio posto. Dal recupero della Mora romagnola, razza all’epoca ritrovata nell’area faentina (Brisighella) ed oggi non senza fatica reintrodotta in altre zone – vedi Rimini e Saludecio -, è maturata l’idea, ben accreditata allo stato attuale, della comparazione, tramite il meccanismo del concorso-trofeo, dei salami lavorati da artigiani-norcini o più semplici estimatori-norcini. “Certo, è necessaria una preselezione – sottolinea Fantini – allorché all’assaggio venga sottratto quanto d’indecente si possa concepire. La media di partecipazione oscilla tra le 15 presenze in fatto d’artigiani e altrettante per gli amatori”. Fedelissimo del trofeo è un riccionese, Primo Badiali: uomo di sorprendenti capacità, spesso e volentieri sotto le luci dei riflettori nella categoria amatoriale. “Il trofeo organizzato dalla Congrega del Buon Salame (visti i tempi d’incertezza propositiva meriterebbe maggior attenzione da parte delle istituzioni locali, ndr) – spiega Fantini – in qualche occasione, San Patrignano protagonista, ha messo in luce una netta evoluzione espressiva. Ovvero ha cancellato la convinzione che fra il prodotto preparato dagli artigiani e quello proposto dagli amatori si potessero riscontrare differenze quasi abissali”. Così, la prova dei fatti sta a testimoniarlo, non è. Sullo sfondo del trofeo è invece ben delineato, seppur non platealmente ammesso, il potenziale conflitto con chi sfruttando razze non autentiche (Mora, Cinta, Borghigiana sono assolutamente autentiche) ha investito, e continua ad investire, su maiali White Large. Maiali “estranei” ad una cultura e ad un tradizione meno industriale qual è la romagnola. Diviene dunque auspicabile, sollecitando forse un po’ il dibattito assopito nelle dispute da cellophane, che l’esempio della Congrega innesti un miracoloso effetto moltiplicatore su altri prodotti. Ad iniziare, perdonino gli abitanti delle colline, da un’invitante e saporita Congrega del Buon Pesce Azzurro. Il tutto condito dal seguente avviso: quanti cullano il sogno della taroccata rimangano pure al riparo delle loro stalle. E’ sufficiente l’esame del Dna ricavato da un setola dei maialini per smascherare allevatori di Mora fraudolenti.

Articolo pubblicato sul numero di dicembre 2009 - gennaio 2010 della rivista Gustando prodotta dalla casa editrice La Mandragora di Imola.